Captain Swan Missing Moment: Notte tra la 3x16 e la 3x17

Come dice il titolo, cronologicamente questo missing moment si posiziona tra le puntate 16 e 17 della terza stazione. Perché proprio lì? Perché mi è sempre sembrato che il comportamento di Uncino verso Emma fosse cambiato troppo da una puntata all'altra, e io mi sono data questa spiegazione ;)
Buona lettura!

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Emma camminava lungo il molo. Non sapeva nemmeno lei perché si trovava in quel posto.

Aveva aspettato che Henry prendesse sonno, poi silenziosamente aveva agguantato il suo cappotto e aveva iniziato a passeggiare per Storybrooke senza una meta precisa.

Rifletteva sul da farsi: quella per Henry non era più casa, stava perdendo molti giorni di scuola, i suoi genitori stavano per avere un altro bambino, se non fosse stato per quell’orrida strega verde sarebbe potuta tornare tranquillamente alla sua vita a New York. Certo, Regina avrebbe sofferto per l'assenza di Henry, ma lui non aveva comunque più ricordi di lei e del loro rapporto, inoltre lei avrebbe dovuto pensare solo al bene di Henry, gli altri, per quanto fosse cattivo da dire, non erano un problema suo.

Continuava a ripetersi questo, mentre camminava per le strade buie e deserte di Storybrooke, ma una parte di sé, quella che odiava di più perché le aveva causato le più grosse delusioni nella sua vita, le diceva che la cosa giusta da fare sarebbe stata assicurarsi che Henry recuperasse i suoi ricordi in modo da farlo riunire col resto della sua famiglia e fargli ricordare i pochi momenti passati col padre, stare a Storybrooke ed essere un buona sorella maggiore per il piccolo in arrivo, stringere un vero rapporto coi genitori che aveva cercato per tutta la vita e dai quali ora cercava invece di scappare; una parte ancora più piccola di Emma sapeva che, adesso che i suoi ricordi erano tornati, avrebbe sentito la mancanza di Storybrooke (e di qualche suo abitante in particolare), ma era una parte di sé che Emma non ascoltava ormai da così tanto tempo da non saperlo più fare, quindi le sue richieste rimanevano ormai un triste eco di sottofondo che non riusciva più a decifrare.

Continuava a passeggiare, immersa nei suoi pensieri, quando un forte odore di salsedine la distrasse; si guardò intorno per la prima volta da quando era partita da Granny's e notò che il suo vagare senza meta a quanto pareva una meta inconscia la aveva: il molo.

Non ci voleva Archie per capire perché (o per chi) era andata lì, ma la parte della sua mente deputata a proteggerla dalle delusioni lo negava, quindi Emma si fermò, chiedendosi perché fosse arrivata lì, inspirando a pieni polmoni l'odore che il mare sprigionava.

“Ciao, splendore!” una voce familiare aveva interrotto il flusso dei suoi pensieri, e le aveva causato un tuffo al cuore.

“È un piacere vedere che almeno questa volta non ti è passata sopra un’auto, Uncino!” gli rispose Emma senza però voltarsi, continuando a osservare il mare.

“Beh, non puoi esserne sicura finché non controlli con le tue mani…” disse lui di rimando, sghignazzando.

Emma si voltò, con la solita espressione tra lo scettico e il divertito alle battute di Uncino, e lo trovò esattamente come lo aveva immaginato, nel suo pastrano di pelle nera, con le braccia incrociate e un sorrisetto malizioso sul viso.

“Basta uno sguardo per vedere che stai benissimo” gli rispose lei secca, ma con una punta di divertimento.

“Questa te la lascio vincere, Swan” rispose lui, facendo un sorriso più sincero questa volta, “Che ci fai qui a quest’ora? Dov'è Henry?”

Emma rimaneva sempre stupita da quanto Uncino si interessasse ad Henry e al suo benessere, e a quanto si stesse affezionando al suo bambino, e la cosa le provocava un calore nel petto che non riusciva a spiegarsi.

Rivolse uno sguardo di sincera tenerezza a Uncino e gli disse “Sta bene, tranquillo, è a dormire nella nostra stanza. Io non riuscivo a dormire, avevo bisogno di fare due passi”, concluse la frase sorridendogli, un sorriso che però non le raggiungeva gli occhi, ancora scuriti dalle sue preoccupazioni, poi volse di nuovo lo sguardo verso il mare.

Uncino si affiancò ad Emma e anche lui si mise ad osservare il mare. Il silenzio tra loro due non era strano o imbarazzante, era un silenzio tra due persone che non hanno bisogno di parlare e che provando affetto l’uno per l’altra si sostengono anche semplicemente stando vicini senza dire nulla.

Dopo qualche minuto di silenzio Uncino tirò fuori la fiaschetta dalla tasca interna del pastrano, la stappò con i denti, buttò giù un lungo sorso e sempre mantenendo il silenzio la passò ad Emma, ancora immersa nei suoi pensieri, che la accettò di buon grado e continuando a guardare il mare prese un lungo sorso anche lei; continuarono a passarsela senza dire una parola, finché questa non fu terminata.

Le prime volte che si passarono la fiaschetta non notarono (o fecero finta di non notare) le loro dita che si sfioravano: erano due adulti, non due adolescenti in preda agli ormoni! Ma più succedeva, più l’alcol faceva effetto, più Emma trovava quel lieve contatto rassicurante e familiare.

Quando Emma prese l’ultimo sorso di rum dalla fiaschetta la passò a Uncino che afferrò contemporaneamente sia la fiaschetta che la mano di lei.

Era piccola, morbida e fredda nella sua che invece era grande, ruvida e calda; quel contatto fece rabbrividire Emma, che si girò e inchiodò il suo sguardo a quello di Uncino: era ancora scuro dalla preoccupazione, ma il rum aveva slatentizzato qualcos’altro, un brillio di desiderio che esplose a contatto col ghiaccio degli occhi di lui.

Approfittando della stretta di Uncino sulla sua mano, d’impulso lo attirò a sé e spinse violentemente le labbra su quelle di lui, proprio come aveva fatto l’anno prima sull’Isola Che Non C’è.

Uncino rimase interdetto e immobile per un secondo, non si aspettava assolutamente questa reazione, ma di sicuro non se ne lamentava: lasciò cadere a terra la fiaschetta con un tonfo e affondò la mano nei capelli di Emma, mentre le passava il braccio sinistro attorno alla vita, attirandola possessivamente a sé.

Lei, avendo le mani libere, iniziò a farle vagare sotto il cappotto di lui, prima delicatamente sfiorando il suo petto lasciato nudo dalla scollatura della sua camicia, poi con più decisione, cercando di sfilarglielo dalle spalle.

Uncino si staccò controvoglia dalle labbra di Emma, mentre lei cercava ancora di attirarlo a sé per il colletto della camicia: questa volta non aveva intenzione di interrompere quel bacio, la prima cosa che la faceva sentire calma e al sicuro da quando aveva recuperato i suoi ricordi.

“Swan… Emma…” doveva controllarsi, doveva fermarla prima di fare una stupidaggine e di farla soffrire. 

“Killian, ti prego…” 

Lui la guardò per un attimo negli occhi: non era un gioco di potere, non lo stava prendendo in giro, voleva davvero che lui continuasse a stringerla e a baciarla; ma quello che lo fece capitolare definitivamente fu il fatto che lo aveva chiamato col suo nome, cosa che non faceva mai se non davanti a Henry, e per il semplice fatto che sarebbe stato difficile spiegargli il motivo del suo soprannome.

Ma questa volta chiamarlo col suo nome voleva trasmettergli una cosa diversa: voleva per un secondo permettergli (e permettersi) di vedere l’affetto che provava per lui, di chiedergli conforto, affetto e intimità, di farsi vedere debole e farsi dare forza, solo per una volta.

La attirò di nuovo a sé e riprese a baciarla con foga, tanto da sollevarla da terra; Emma ne approfittò e gli cinse la vita con le gambe, mentre lui la sorreggeva col braccio sinistro passandoglielo sotto le natiche, e con la mano destra la spingeva contro il suo petto tenendola per la schiena.

Iniziò a spostarsi verso la barca più vicina, senza smettere di baciarla, mentre lei non sembrava essersi resa conto della cosa, dato che continuava a baciarlo con passione e lo attirava a sé per il bavero.

Si staccarono soltanto quando Killian poggiò Emma sulla scrivania, il primo piano sottocoperta che Killian aveva trovato disponibile in quel vecchio peschereccio probabilmente ormai in disuso.

In quel momento a lei non importava dove fossero, perché se si fosse concessa di fermarsi a riflettere, probabilmente avrebbe smesso di baciarlo e sarebbe tornata alle sue responsabilità: ma non aveva bisogno di quelle in quel momento, ma solo di Killian che la stringeva e che per una volta le faceva credere che non avesse bisogno di affrontare il mondo da sola.

Emma, senza mai staccare le labbra da quelle di lui, fece finalmente scivolare il pastrano a terra, facendolo cadere con un tonfo; lui intanto le aveva sfilato il cappotto, che era stato abbandonato sulle scrivania, e con l'uncino minacciava i bottoncini sul retro del vestito di lei.

Killian si staccò di nuovo dalle labbra di lei: doveva essere sicuro che lei desiderasse quello che stava per succedere, non voleva rischiare di fare qualcosa che lei non volesse.

"Emma, ti prego, fermarmi ora se non ne sei sicura, perché dopo non so se avrò la  stessa lucidità di adesso”

'Dannazione, perché quest'uomo si fa tutti questi problemi per del sesso?' si chiese mentalmente Emma, anche se nel profondo sapeva la risposta: perché non sarebbe stato solo sesso, per nessuno dei due.

Ma come aveva fatto altre volte quella sera, ignorò la mente e si lasciò guidare dal suo corpo, perché era ciò di cui aveva bisogno in quel momento.

"Non ho intenzione di fermarti, Killian...!” e detto questo gli sfilò la camicia dai pantaloni di pelle e poi dalla testa, lasciandola cadere a terra ancora abbottonata.

Uncino a quel punto, dopo quella seconda conferma, lasciò scivolare la sua protesi metallica sui bottoncini sulla schiena di Emma con un colpo secco, e con la mano libera iniziò a esplorare la nuova nudità che l'assenza di quei bottoni gli aveva permesso di scoprire.

Lei portò la testa indietro, concedendogli libero accesso al suo collo, mentre le sue mani scivolavano verso i suoi fianchi, cercando l'allacciatura di quegli strani pantaloni.

Uncino fece scivolare delicatamente il vestito di Emma lungo le spalle di lei, scendendo poi a baciarle il petto, solleticandola leggermente con la barba incolta.

Quando finalmente Emma riuscì a slacciargli i pantaloni e glieli lasciò scivolare lungo i fianchi, scoprì con piacevole stupore che a quanto pareva la biancheria intima non andava di moda nella Foresta Incantata, o almeno non tra i pirati: Uncino era completamente nudo, eccezion fatta per i pantaloni che gli si erano attorcigliati attorno alle caviglie e agli stivali, e non sembrava per nulla imbarazzato della cosa, anzi sembrava perfettamente a suo agio.

Emma lasciò che le sue mani scendessero a conoscere posti che fino a quel momento tra loro erano stati inesplorati e sentì un incoraggiante gemito di approvazione uscire dalle labbra di lui: scese dalla scrivania, con tutte le intenzioni di avvicinarsi maggiormente, ma a quel punto Killian riprese il controllo della situazione e fece un passo indietro.

Sbuffò esasperata, pensando che questo fosse il suo ennesimo tentativo di fermare quello che stava succedendo tra loro, invece lui si limitò a prenderla per le spalle e girarla si schiena, facendola poggiare col ventre al bordo di legno della scrivania; Emma decise di stare al gioco e rimase ferma nella posizione nella quale l’aveva lasciata: si fidava di lui e sapeva che non avrebbe mai fatto qualcosa che lei non avrebbe voluto o che le avrebbe fatto del male, e proprio in quel momento sentì le labbra di Killian posarsi sulla sua spalla nuda, facendola rabbrividire, mentre dei movimenti dietro di lei le fecero pensare che lui stesse scalciando via gli stivali e i pantaloni.

“Swan, non muoverti o potrei farti male” le sussurrò all’orecchio, prima di mordicchiarle giocosamente il lobo.

Una frase del genere sarebbe stata un campanello d’allarme in qualsiasi altra situazione, ma lei sapeva perfettamente che stava parlando del suo uncino, quindi annuì senza preoccuparsi.

Killian le spostò i lunghi capelli biondi su una spalla e riprese a baciarle la nuca, poi la schiena lungo la colonna vertebrale, fino all'orlo delle mutandine, che si intravedevano dallo squarcio che aveva causato nel vestito, seguendo i movimenti delle sue labbra con l’uncino e con la mano destra, facendola rabbrividire.

Le sfilò completamente le maniche del vestito e lo accompagnò mentre si depositava a terra, attorno alle caviglie di lei: approfittò di quella situazione per aiutarla a togliere gli stivaletti neri con la mano, mentre con l’uncino risaliva lungo il suo corpo e con un solo gesto lacerava l’allacciatura del reggiseno, i collant e gli slip.

Cadde tutto a terra attorno alle caviglie di Emma, che era ancora immobile in preda ai brividi che le davano le attenzioni che Uncino le stava riservando, quando lui lentamente le posò un bacio sulla caviglia, facendola sospirare dalla sorpresa.

Con esasperante lentezza iniziò la sua risalita lungo le gambe di Emma, mente lei poggiava i palmi delle mani sulla scrivania per sorreggersi, dato il tremore che si era impossessato delle sue gambe; Killian intanto era arrivato all’interno coscia che baciava e mordicchiava sempre con più passione, mentre la sua mano era già andata in esplorazione di zone ancora sconosciute.

Quando sentì Emma sobbalzare per la sua presenza, e un gemito soffocato scaturire dalle sue labbra un secondo dopo, decise che era il momento di assaporare qualcosa che bramava molto di più della sua pelle, ma proprio quando stava per raggiungerlo sentì un sospiro che lo chiamava: “Killian… baciami…”.

Un ordine? Una preghiera? In quel momento non gli importava, non era più un gioco di potere tra loro due, erano andati ben oltre: si tirò su immediatamente e poggiò il suo petto contro la schiena di lei, mentre Emma appoggiava la testa sulla spalla di lui, in modo da avere libero accesso alle sue labbra.

Lo baciò appassionatamente, mentre sentiva ancora le dita di lui muoversi dentro di lei, causandole altri brividi e gemito soffocati; quando, però, la mano di Killian cessò quella piacevole tortura, per dedicarsi all’esplorazione delle zone limitrofe, Emma decise che era giunto il momento di prendere in mano la situazione e con un colpo di fianchi ben assestato, lo fece scivolare dentro di se, cogliendolo di sorpresa.

Un gemito uscì dalle labbra di Emma seguito da quello che sembrava un ringhio dalle labbra di Killian, ma un secondo dopo era finito tutto, lui si era allontanato di nuovo.

“Killian, ma che diavolo…?” chiese lei adirata, perché era già la seconda volta che in pochi minuti lui interrompeva qualcosa di incredibilmente piacevole; Uncino ignorò le proteste di Emma e in un attimo la girò di nuovo verso di sé e contemporaneamente la sollevò e affondò di nuovo in lei in modo deciso, causandole un profondo sospiro di gola.

“Per questo” disse Killian spingendosi di nuovo con forza dentro di lei, mentre parlava contro il suo collo “voglio poterti guardare in faccia” e con queste ultime parole incatenò i suoi occhi di ghiaccio a quelli verdi di lei.

Emma non immaginava che il sesso con Killian fosse così: pensava che sarebbe stato passionale, che avrebbe saputo cosa fare, ma si aspettava che sarebbe stato tutto molto più fisico, quasi meccanico, mentre lui riusciva sempre a sorprenderla, avendo attimi di dolcezza anche nei momenti nei quali se lo aspettava di meno.

Decise di scacciare questi pensieri dalla mente, la cosa stava diventando troppo seria, mentre lei aveva deciso che quella sera avrebbe dovuto solo godersi il momento.

Si aggrappò alle spalle di lui per aiutarlo coi movimenti, mentre Uncino ancora la sosteneva col braccio sinistro sotto le natiche e con destro esplorava il suo corpo, quando aveva bisogno di riprendere fiato la appoggiava sulla scrivania, variando i movimenti ma non staccandosi un secondo da lei o dalle sue labbra.

Continuarono così, alternando movimenti veloci a movimenti lenti, baci teneri a baci voraci, carezze a morsi, finché non furono entrambi soddisfatti, anche se esausti.

Dopo un paio di minuti nei quali ripresero fiato, la testa di Emma poggiata sul torace di Uncino e la testa di Uncino nascosta nell’incavo del collo di lei, Emma decise che era il momento di spezzare quella strana energia che si era creata tra entrambi e di tornare nel mondo reale.

“Questo…” iniziò lei.

“... non dovrà ripetersi” concluse lui, guardandola con occhi malinconici.

Sapeva dal primo bacio che si erano dati quella sera che una volta concluso lei avrebbe rinnegato tutto, proprio come aveva fatto col loro primo bacio, ma sapeva anche di essere un uomo e di saper resistere solo fino ad un certo punto se la donna che amava gli saltava addosso.

Emma lo guardò titubante e lui sorrise malinconico, fece un passo indietro e andò a recuperare i suoi vestiti e quello che rimaneva di quelli di lei.

“Questo credo sia ancora utilizzabile” disse passandole il vestito “e prendi anche questa così dovresti essere a posto, mi dispiace, ho fatto un bel casino” disse, passandole la sua camicia e sorridendo con vero imbarazzo.

“Non importa, io potevo fermarti e non l’ho fatto” gli rispose Emma sorridendogli con dolcezza, mentre si infilava la camicia di Uncino sopra il vestito, per coprire la schiena nuda.

Quando lei si fu rimessa gli stivali e il giubbotto, Killian aveva ancora solo rimesso i pantaloni, quindi lei decise che era il momento di andare, la sua pausa dalla vita reale era durata anche troppo.

“Bene, io vado. Ci vediamo in giro Kill… Uncino” disse lei, prima di voltarsi e andarsene.

‘Ottimo’ pensò Killian sarcasticamente, ‘siamo tornati a Uncino’ mentre metteva il pastrano sul petto nudo e usciva dalla barca diretto verso la sua stanza.

Emma arrivò nella stanza che divideva con Henry dopo pochi minuti; cercando di fare meno rumore possibile si tolse il cappotto e le scarpe, si sfilò la camicia di Uncino e quando fu in procinto di buttarla nella pattumiera (non poteva permettere che Henry trovasse in giro per la stanza una camicia inconfondibilmente piratesca) si concesse di odorarla un’ultima volta: si sentì come se fosse di nuovo stretta a lui, con il suo odore di salsedine, rum e di un qualcosa di indefinibilmente suo.

Guardò di nuovo la camicia e non riuscì a gettarla, quindi la piegò e la infilò nel fondo della sua valigia, sicura che li Henry non avrebbe mai guardato. 

Buttò infine il vestito distrutto nella pattumiera e dopo essersi messa il pigiama andò a sdraiarsi accanto al figlio per dormire, convincendosi che nella sua vita avrebbe avuto posto solo per lui, anche se nel profondo sapeva che quella non era una scelta altruistica da madre ma egoistica, perché si stava affezionando di nuovo ad un uomo e a delle persone, e non poteva rischiare che il suo cuore venisse calpestato ancora una volta.

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